PISA – Una stagione di danza che nel 2017 sarà ridotta nel numero di rappresentazioni, ma comincerà prima (dicembre 2016) e avrà un evento di richiamo internazionale; ancora, il teatro Verdi che non chiederà più soldi al ministero; infine una chiamata di corresponsabilità rivolta alle scuole di danza pisane.
C’è tutto questo (fra le righe) nel rivoluzionario programma di sala consegnato al Verdi il 5 giugno, in occasione di “Esplosione danza – Angeli e demoni”, dodicesimo e ultimo spettacolo della stagione 2016. Nello stampato si legge infatti un breve comunicato a firma del direttore artistico, Silvano Patacca: «La Piattaforma nazionale della danza lasciava immaginare ben altro futuro per la danza, in teatro e a Pisa. Purtroppo non è stato così. Troppe le difficoltà», scandisce l’autore dopo aver ricordato che «volevamo un progetto che coinvolgesse le scuole di danza di Pisa e provincia». Com’è andata? «Adesso altre prospettive si aprono e, nell’immediato, non sappiamo ancora se e come riusciremo a mantenere un’organica rassegna sul palcoscenico del Verdi». A margine della “festa”, il direttore artistico della stagione accetta di rispondere a qualche domanda.
Silvano Patacca, cominciamo dal futuro. Ci sarà una stagione di danza nel 2017? E come sarà?
«Sarà una bella stagione, perché proporrà come sempre spettacoli di qualità, ma di maggiore richiamo rispetto alle chicche della contemporaneità; e forse con un evento internazionale, cosa che finora non era mai successa. Non posso ancora parlarne. Sarà tuttavia una stagione ridimensionata, con meno recite rispetto alle dodici attuali».
Sotto i dodici appuntamenti si perdono i fondi del ministero?
«Sì, non li chiediamo per il triennio 2017-20».
Quanti soldi erano?
«Si tratta di un finanziamento di 50.000 euro all’anno e abbiamo impiegato 22 anni per arrivare a quella cifra. Se perdi un triennio, dopo riparti come “prima istanza” e quindi da un importo molto più basso».
Addio per sempre allora! Perché rinunciarvi?
«Eravamo di fronte a un bivio: o chiudiamo la stagione o dobbiamo ripensarla».
Facciamo un passo indietro. Quanti vincoli poneva il ministero per erogare fondi?
«Ci devono essere 12 recite con almeno cinque compagnie; una progettazione triennale; uno spettacolo in prima nazionale; la stagione deve essere compresa nell’anno solare. Prima i vincoli erano meno stringenti. C’è un killer: il decreto del Mibact, ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, datato 1° luglio 2014».
E se saltano questi vincoli, quali vantaggi ci sono?
«Per esempio, la stagione è meno compressa e puoi cominciare prima. Il Verdi ha in cartellone anche lirica e prosa: trovare tante date libere tra gennaio e giugno è difficilissimo. La stagione di danza 2017 comincerà invece a dicembre 2016».
Ma si perdono parecchi soldi. Facciamo un po’ di conti.
«Il preventivo della stagione 2016 ipotizzava un incasso di 60mila euro su 12 recite, abbastanza alla portata. E un disavanzo finale di 48.200 euro, nonostante i 50mila ipotetici del ministero. Si saprà forse a settembre se quei soldi arrivano, cioè a stagione finita. Il disavanzo finale nella realtà è molto più alto: 83.889 euro. Il presidente del Teatro ha detto che questo è un costo che non si può permettere».
Ci sono state poche persone in sala?
«La crisi c’è, anche se prosa e lirica sono cresciute. Quando ci sono troppi eventi tutti insieme, il pubblico sceglie; e tra la danza contemporanea italiana – altro vincolo del Mibact – o un titolo con un attore famoso, quasi sempre opta per il secondo. In ogni caso abbiamo avuto 2.764 spettatori nelle prime 11 recite; mancano ancora i dati dell’ultima. Una stagione con circa 3mila ingressi farebbe invidia a chiunque».
Eppure a Pisa non è bastata: la media (60mila euro diviso tremila spettatori) è di 20 euro. Se gli incassi sono inferiori vuol dire che non tutti pagano.
«A Pisa forse servirebbe un luogo da 250 posti per la danza; una piattaforma modulabile. Se, per mancanza di date al Verdi, fai delle recite al Sant’Andrea, lì in un attimo è tutto esaurito! Ma sugli incassi hanno influito anche gli ingressi gratis».
Eppure ci sono delle convenzioni che vanno rispettate, per esempio con l’Università e le scuole di danza.
«Ma quando abbiamo regalato due biglietti a persona, è successo che una dei beneficiari ne abbia preso solo uno perché non sapeva chi portare a teatro…».
Insomma, il gratis e gli ingressi scontati sono – tra gli altri – un veicolo di promozione che le scuole non hanno saputo mettere a frutto?
«Io mi assumo tutte le mie responsabilità: forse non le ho motivate. Ma nel programma di sala la mancanza di ringraziamenti alle scuole indica anche la loro corresponsabilità: a torto o a ragione ritengo che abbiano contribuito a determinare questa situazione. Una scuola in genere deve formare; e una di danza non necessariamente deve diplomare un danzatore, ma almeno una persona con uno sguardo critico. Il ministero non aiuta se fa pagare meno tasse a chi mette su solo una società sportiva. Il risultato è che un’attività non venga vissuta come un patrimonio proprio. Dispiace».
Lei parla delle attività solo dentro le scuole o anche nel teatro?
«Nell’ultima programmazione triennale a cui abbiamo partecipato, l’obiettivo era la formazione del pubblico. Non sono un coreografo o un danzatore che devono seguire una cifra stilistica. Così la mia relazione al ministero aveva come elemento organico la formazione. Abbiamo istituito appuntamenti come gli “aperitivi in danza” del sabato mattina; gli stage con masterclass aperti a tutti; l’integrazione sul palcoscenico in cui gli allievi delle scuole hanno l’opportunità di partecipare non a un saggio, ma a uno spettacolo vero con gli artisti. Sono tutti gratis per il pubblico, ma rappresentano un costo per il teatro».
Costo che il teatro non può sostenere.
«Mi scontro con una filosofia aziendale agli antipodi della mia».
E come saranno gli eventi del 2017?
«Qualcosa di simile al dibattito post spettacolo, ma rivolto al pubblico generalista. Non ho intenzione di organizzare iniziative collaterali con le scuole».
Chi paga?
«Per la prossima stagione siamo andati a Firenze e abbiamo chiesto alla Fondazione Toscana spettacolo, che è diventata un circuito multidisciplinare, il primo nazionale per entità dei finanziamenti erogati. Ci si aspetta che se deve fornire di più, abbia di più; invece il socio fondatore – la Regione – le ha tagliato i fondi. Inoltre è previsto un intervento del Teatro a fronte di un preventivo persino più cauto del 2016: se la previsione di incassi è sottostimata, l’investimento del Teatro può addirittura ridursi a consuntivo».
Torniamo al programma di sala. Ci sono invece i ringraziamenti a Walter Matteini, direttore artistico della ImPerfect Dancers Company.
«Quel comunicato è uno schiaffo: non è nel mio stile essere enfatico, anche se in occasione della festa per l’ultima recita ci si aspetterebbero belle frasi di circostanza. Ma mi dispiaceva che la compagnia di residenza fosse penalizzata da questa situazione: la convenzione con Matteini ci ha sempre permesso di portare in scena la prima nazionale cui eravamo obbligati. Abbiamo raggiunto un compromesso con il direttore: gli ImPerfect Dancers restano al Verdi e noi continuiamo ad avere una prima; ma lui ha rinunciato al cachet».
Cosa si aspetta adesso?
«Delle reazioni. La Piattaforma Nazionale della danza era stata presentata come una ripresa, invece siamo alla fine».
Dalle sue parole si ricava la sensazione di mancanza di alleati.
«Siamo uno dei pochi teatri di tradizione che fanno anche danza e per giunta le nostre stagioni sono apprezzatissime all’esterno. Quando altre realtà hanno annunciato la chiusura in città, c’è stata una mobilitazione generale».
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