Ricordiamo l’8 marzo nel nome di Teresa Mattei
Oggi quando pensiamo al mondo del lavoro e della politica e all’azione militante non ci stupiamo che moltissime donne accrescano le file dei cortei, agiscano nella aule politiche e abbiano conquistato spazio nei posti di lavoro; certamente con molte riserve e ancora moltissimi traguardi da raggiungere. Settant’anni fa il contesto socio-culturale e politico era completamente diverso da quello di oggi e Teresa Mattei attraverso la sua partecipazione attiva come partigiana nella Resistenza italiana, prima, e come la più giovane donna all’interno della Costituente, dopo, rispecchia la storia di moltissime donne italiane che portarono un cambiamento radicale all’interno della società novecentesca.
Teresa Mattei nasce a Quarto (Genova) il primo febbraio 1921 in una famiglia di intellettuali borghesi, cattolici e antifascisti. Libertà e parità sono le parole chiave per descrivere la formazione della Mattei, donna vissuta in un clima familiare che favorì l’apertura mentale e incentivò la cultura e l’anticonformismo. La sua famiglia infatti non poté rimanere indifferente all’avvento della dittatura; in casa regnarono veri e propri sentimenti antifascisti, fin da quando i Mattei si trasferirono a Milano, culla del fascismo e sede de Il popolo d’Italia (quotidiano divenuto organo del partito nazionale fascista). Lo spirito democratico che accomunò i vari componenti della famiglia Mattei non potè infatti tollerare l’autoritarismo dittatoriale e le violenze del Regime. L’attività sovversiva quindi continuò anche con il rischio incombente di arresti e requisizioni da parte del Regime.
Teresa, trasferitasi con la famiglia in Toscana nel 1933, continuò gli studi a Firenze in un clima di totale emarginazione e avversità per gli ideali democratici, in quel momento pericolosi da dichiarare, ma che caratterizzarono la formazione della giovane studentessa. Il culmine dell’emarginazione si ebbe nel 1938, quando la Mattei fu espulsa da tutte le Scuole del Regno per essersi schierata con forza contro la propaganda scolastica inneggiante la divisione razziale. L’attività cospirativa a quel punto, fatta dai Mattei a livello “domestico” e in clandestinità, aveva bisogno di essere integrata con qualcosa di più forte e collettivo. In un certo senso, fu la guerra a dare possibilità ai più giovani della famiglia di emergere come antifascisti e combattere il Regime su più livelli.
È doveroso ricordare anche l’attività del secondogenito Mattei, Gianfranco, prestigioso ricercatore in Chimica a Milano. Divenuto Gappista, la produzione di ordigni migliorò qualitativamente grazie alle conoscenze di Gianfranco e nuovi tipi di bombe furono fabbricati nella sede clandestina di via Giulia a Roma. Quelle mura racchiusero per vario tempo il deposito di armi, munizioni ed esplosivi dei Gap centrali. Gianfranco combatteva la sua dura guerra senza sosta e senza riparo, preparando ordigni sempre meno rudimentali. Ma da un lavoro così importante derivarono rischi sempre maggiori e le SS nel febbraio 1944 irruppero nel laboratorio e arrestarono tutti i presenti. Torturato in carcere Gianfranco fu chiuso in una piccola cella dove poco dopo si tolse la vita impiccandosi con la cintura dei pantaloni, facendo tacere per sempre la paura di poter tradire i compagni. Una scelta tanto coerente e pura quanto dolorosa e disperata.
Nel 1942 Teresa e Gianfranco erano entrati a far parte del Partito Comunista d’Italia clandestino, giustificando così la propria scelta: «Avevamo scelto questo partito perchè ci sembrava che il PCI fosse l’unico in grado di opporre una resistenza al fascismo. La scelta della sinistra è stato per noi una scelta etica più che politica.»
La scelta di Teresa Mattei, difficile e maturata nel tempo, ci fa capire come per lei il PCd’I, organizzato e capillare, fosse l’unica organizzazione antifascista abbastanza forte da poter combattere e sconfiggere il regime dittatoriale di Mussolini. Iniziò così l’attività clandestina della Mattei, non solo all’interno dell’Università come studentessa della facoltà di Lettere e Filosofia, ma anche e soprattutto all’interno dei Gap e dei Gruppi di difesa della donna che sorsero tra il 1943 e il 1944 e a cui prendevano parte moltissime donne di diverse classi sociali, convinte di contribuire alla causa antifascista in nome di un futuro radicalmente diverso. In questo momento, fondamentale per l’inizio di una vera e propria emancipazione femminile, le donne con una orgogliosa e pura spinta personale uscirono dalle loro stanze buie in cui erano relegate e iniziarono ad aiutare gli uomini. Cominciarono a diventare parte fondamentale non solo della lotta partigiana come elemento inscindibile per la creazione di una società giusta ed egualitaria. Per quanto oggi questo possa apparire retorico e ridondante, per quelle donne non lo era affatto. Le loro attività all’interno di queste organizzazioni furono quindi molteplici: vennero esaltati i ruoli tipici femminili come quello dell’assistenza con l’organizzazione di corsi sanitari e di soccorso, con la raccolta di indumenti e viveri. Le donne parteciparono attivamente alla formazione dei Gap reclutando ad esempio volontari all’interno delle organizzazioni partigiane. Il lavoro fu immenso e la preparazione fondamentale, numerose donne in città e in campagna organizzarono dei corsi di formazione politica e tecnica per essere al meglio e poter diffondere informazioni, col volantinaggio, trasportando documenti, munizioni, armi, viveri ed esplosivi. Parteciparono alla lotta ma anche alla vita politica vera e propria dando grandissimi contributi. Sembra assurdo, ma la Resistenza al femminile ancora oggi è una realtà taciuta e poco conosciuta. Donne come Teresa Mattei, nome di battaglia Chicchi, all’interno delle organizzazioni partigiane hanno contribuito in modo decisivo alla distruzione del Regime come vere guerrigliere. Attraverso attività concrete le donne combatterono in prima persona e si fecero strada all’interno di una società che le aveva da sempre emarginate. Spesso arrestate, picchiate o violentate non tradirono, non parlarono e continuarono imperterrite a superare i posti di blocco con maggiore facilità, giocando su una mentalità sessista e maschilista che non le credeva capaci di combattere una guerra sovversiva. Con armi o esplosivi sotto i vestiti o dentro carrozzine riuscirono a superare i confini fascisti e tedeschi.
L’antifascismo rappresentò per le donne come Chicchi una scelta libera e coraggiosa, fatta senza costrizione e impulsività. Finalmente esse divennero soggetti storici reali e visibili. Con l’aiuto dell’esperienza partigiana oltrepassarono il confine della realtà domestica e familiare conquistando di conseguenza la cittadinanza politica tanto agognata e una valorizzazione pubblica. La distruzione del regime fascista e la Liberazione dall’occupazione tedesca si fuse così con l’inizio di un percorso di conquista della parità con gli uomini e la motivazione politica portò a un riconoscimento di un ruolo pubblico per le donne fino allora negato. Queste esigenze trovarono espressione nei movimenti di lotta, nelle giunte popolari e nei CLN. Ci si contrappose in questo senso ai rigidi modelli femminili proposti dal regime ricercando una totale libertà personale soddisfatta, in parte, dalla difesa armata e paritaria della patria. Teresa è questo e non solo: risulta difficile descrivere in un solo articolo la vita e l’esperienza di una donna che è riuscita a farsi spazio in un mondo chiuso e rigido verso le donne. L’esperienza della Mattei rispecchia la storia di moltissime altre donne, di cui oggi, 8 marzo, si celebra ogni anno la Giornata internazionale della donna.
Ma come ha avuto origine la ricorrenza e perché? Questa giornata di memoria nacque negli Stati Uniti il 3 maggio 1908 quando durante una conferenza del Partito Socialista di Chicago, la socialista Corinne Brown prese la parola, causa l’assenza dell’oratore ufficiale designato, discutendo dello sfruttamento dei datori di lavoro nei confronti delle operaie e delle discriminazioni subite in termini salariali e di orario di lavoro. Per la definitiva iniziativa di celebrare la giornata internazionale della donna si dovette attendere due lunghissimi anni, quando infatti nel 1910 Clara Zetkin a Copenaghen parlò durante la Conferenza internazionale delle donne socialiste. Nel 1921 poi la data di celebrazione fu unificata all’8 marzo.
Anche in Italia, l’8 marzo delle donne ha come simbolo la mimosa.
Andavo a San Jeronimo
verso il porto
quasi addormentato
quando
dall’inverno una montagna
di luce gialla,
una torre fiorita
spuntò sulla strada e tutto
si riempì di profumo.
Era una mimosa.
Neruda
In marzo i rami penduli formano una chioma ampia e scomposta, i fiori sbocciano piccoli, dorati e profumati, raggruppati tra di loro. La mimosa è un fiore stagionale, povero e non costoso. Secondo alcuni essa rappresenta il passaggio dalla morte a uno stato di luce. Metafora perfetta per un’Italia che dopo anni di oscurantismo fascista attraverso la Liberazione partigiana divenne finalmente una nazione libera. È proprio Teresa, attraverso un’esposizione esuberante a convincere il Partito comunista e le donne dell’Udi (Unione donne italiane), ad adottare questo fiore come simbolo della ricorrenza, al posto delle violette o delle orchidee, sofisticate e irreperibili in Italia a marzo.
Questa fu un’azione forte e radicale da parte di Teresa Mattei. Adottare la mimosa come simbolo significò dar voce a tutte e a tutti: ai più poveri, alle classi meno abbienti escluse ed emarginate. Non fu solo l’emblema della crescente emancipazione femminile ma anche quello di una società in rapido mutamento che intendeva rigenerare ricreandosi, attraverso ideali di libertà e uguaglianza. In un momento come questo, che vede l’Italia e altre nazioni in Europa e nel mondo affrontare una crisi di ideali e valori, è doveroso e fondamentale studiare e interrogarsi sulla storia passata e, nel caso specifico, non disprezzare la mimosa come simbolo di una ipocrisia maschilista verso l’8 marzo.
«Ancora oggi a tanti anni di distanza, mi commuovo quando vedo nel giorno della festa della donna tutte le ragazze con un mazzolino di mimosa e penso che tutto il nostro impegno non è stato vano».
Così dirà Teresa Mattei, molti anni dopo, parlando dell’8 marzo e della mimosa.
Teresa nel 1946 venne eletta nelle liste del PCI all’Assemblea Costituente, rappresentando così la più giovane donna, a soli 25 anni, incaricata nel XV collegio di Firenze e Pistoia. L’articolo 3 della Costituzione italiana sul tema dell’uguaglianza di tutti i cittadini, porta anche la sua firma, infatti è proprio sotto la sua sollecitazione che venne introdotto nell’articolo al secondo comma l’espressione “di fatto”: “è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.” Possiamo notare infatti come la Mattei fosse consapevole delle varie differenze e degli ostacoli che ancora allora caratterizzavano la popolazione italiana, non soltanto a livello di genere. Dopo l’esperienza della Costituente l’impegno di Teresa continuò tra Milano e Firenze fino al ‘55, quando venne espulsa dal PCI per il dissenso verso la politica stalinista portata avanti dal Partito e la linea mantenuta dal segretario Togliatti. L’impegno, nonostante la fuoruscita di Teresa Mattei, continuò per tutta la vita, fino alla sua morte avvenuta nel 2013 a Usigliano di Lari all’età di 92 anni.
La sua lotta andò in favore dei diritti delle donne e dei minori, impegnandosi nel lavoro di comunicazione da aprire a tutti, anche a chi non avesse diritto di parola, cominciando proprio dai più piccoli. L’attività di sensibilizzazione ha portato Teresa a incontrare ragazzi di tutte le età nelle scuole, perchè è proprio da qui che gli studenti imparano il valore delle azioni umane e Teresa lo sapeva molto bene.
- Teresa Mattei: una vita spesa per le donne - 7 Marzo 2018