Un Festival che è musica e molto altro
Quest’anno ho avuto la fortuna di assistere per tutta la sua durata al London African Music Festival. 16 locali, 45 artisti, 10 giorni: dal 19 al 28 Settembre la cultura africana si è fatta largo per le strade di Londra.
Ovviamente non ho potuto essere presente a tutte le esibizioni del festival, ogni giorno in diverse location si esibivano vari artisti in contemporanea. Londra è oramai l’emblema del multietnico, ci sono cosi tante etnie, culture, religioni, per le sue strade, che potremmo tranquillamente definirla il calderone del mondo.
La cultura africana è una cultura ricchissima sotto qualunque aspetto, e soprattutto è una cultura che è stata troppo a lungo sottovalutata, o forse, semplicemente incapace di farsi largo nell’opprimente monopolio occidentale.
Il London African Music Festival è un occasione imperdibile per gustare la cultura musicale africana, forse una delle più ricche e antiche della storia: basti pensare che è proprio dal mescolarsi della musica africana con la cultura europea negli stati uniti che sono nati il Jazz ed il Blues.
Mi sono così trovato a sentire gli Afrospot, All star Band londinese, afro-beat tradizionale suonato in maniera impeccabile da alcuni dei più autorevoli rappresentanti della scena Afro/World Londinese, come il percussionista Adesose Wallace. I Seeds of Creation, band di origini Algerine, afro-blues unito alla psichedelia ed al jazz guidato dal Mandolino. La sera successiva mi gustavo la kora di Sousou & Maher Cissoko la coppia Senegalo-Svedese, con il loro cantautorato africano dal sapore western.
Poi Appeles Ogaga dal Kenya, Lorraine Lionheart dalla Botswana, il soul carico d’emozione della cameronese Debra Debs con la sua band dal groove lancinante, gli inglesi United Vibrations band multietnica che mescola in se le più svariate correnti musicali, il marocchino Simo Langnawi ed il suo guembri suonato su delle percussioni martellanti che mi portavano a definirlo afro-techno. Il blues dal sapore mediorientale degli algerini Casbah Blues. E per finire, Kanda Bongo Man, uno dei più autorevoli rappresentanti della musica congolese.
Questo festival lascia una sensazione strana. Un accrescimento culturale notevole, ma, soprattutto, quel lato positivo della globalizzazione che rende il mondo tangibile. Anni fa, spostarsi da una nazione all’altra era una faccenda proibitiva, solo i più abbienti potevano permettersi di viaggiare, per colpa degli alti prezzi dei trasporti. Oggigiorno è più semplice, con la diretta conseguenza che sempre più persone riescono a “vedere il mondo”: fare il turista oramai è alla portata di tutti, quasi tutti sono andati almeno una volta all’estero, hanno viaggiato.
Questo apre alla conoscenza del mondo, a uno scambio etnico-culturale più profondo, a scavare sempre di più all’interno delle culture.
Si vengono poi a creare zone nevralgiche d’interesse, come Londra. Zone dove i più svariati artisti vengono a portare il loro bagaglio culturale e a confrontarsi, permettendo la fruizione di musica, ritmi, suoni, danze e colori differenti rimanendo nella stessa città.
Ed ecco che diviene possibile organizzare in Inghilterra un festival sulla musica africana di altissima qualità, ecco che diviene possibile saggiare davvero le altre culture, ecco che diviene possibile il dialogo, il confronto diretto, slegato dai pregiudizi.
E’ anche vero che vedere Appelles Ogaga a Londra, dentro la Old Library della Charlton House di Greenwich non sarà mai come vederla suonare in Kenya, tra le sue danze e i suoi colori: mancherà sempre quella sincerità istintiva che può esistere solo laddove il genere affonda le sue radici; ma rendere possibile il confronto mi sembra già un ottimo passo verso la comprensione e la condivisione.
Il confrontarsi, quando è positivo, ma soprattutto propositivo, non può che fare del bene
https://www.youtube.com/watch?v=WDYB23GOdr0
https://www.youtube.com/watch?v=CJGba0A–DUU https://www.youtube.com/watch?v=Y4suAd7PPks https://www.youtube.com/watch?v=39L–rJujL78
Bernardo Sommani
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