Perché l’8 e 9 giugno bisogna andare a votare per l’Europa
Era il 1989 e Keith Haring dipingeva Tuttomondo, il murale che colora il muro della chiesa di Sant’Antonio a Pisa.
Al centro del dipinto, c’è un uomo con la testa a televisore. Immaginando di schiacciare il telecomando, questo sarebbe stato il telegiornale in onda in quell’anno di svolte: il 5 Giugno, il “Rivoltoso sconosciuto”, quel ragazzo solitario la cui immagine fece poi il giro del mondo, si parava davanti ai carrarmati in Piazza Tienanmen a Pechino, nel tentativo di fermare la dura repressione cinese alle rivolte contro il regime.
Pochi giorni più tardi, il 18 giugno, i cittadini europei dei 12 (all’epoca) stati membri dell’UE andavano a votare per le elezioni europee. Era la terza volta che si votava su scala europea ed erano passati 10 anni da quando, nel 1979, si erano tenute le prime elezioni europee con votazione diretta. In Italia, l’affluenza superò l’80%.
Quel 18 giugno 1989, gli elettori italiani si trovarono davanti due schede: quella elettorale, e quella per il primo (e unico) referendum consultivo per dare “mandato costituente” al Parlamento europeo. Il quesito sulla scheda recitava: “Ritenete voi che si debba procedere alla trasformazione delle Comunità europee in una effettiva Unione, dotata di un Governo responsabile di fronte al Parlamento, affidando allo stesso Parlamento europeo il mandato di redigere un progetto di Costituzione europea da sottoporre direttamente alla ratifica degli organi competenti degli Stati membri della Comunità?”. In due parole, si chiedeva più Europa. Il 90% dei votanti disse di sì.
Sarebbero state, quelle dell’89, le ultime europee con una Germania dimezzata: infatti il 9 Novembre, il muro di Berlino cadeva a colpi di piccone: si rompevano gli argini e le genti affluivano si buttavano dalla Germania est alla Germania ovest, finalmente liberi!
Risintonizziamoci sul 2024, e cerchiamo di rispondere alla domanda iniziale: perché andare a votare?
Oggi l’Europa è composta da 27 paesi, con oltre 448 milioni di abitanti, e tra il 6 e 9 giugno si terranno le decime elezioni europee. In Italia si vota l’8 e il 9 giugno, ed eleggeremo 76 dei 720 dei componenti del Parlamento europeo. Prima di tutto, faccio presente un solo dato: nel 1979 la delegazione italiana, era composta all’86% da uomini con solo il 14% di donne. Nel 2019, le donne hanno raggiunto il 41% contro il 59% degli uomini! Non basta, ovviamente, ma è un buon passo avanti.
Ripercorriamo brevemente la storia di questa istituzione per capirne il suo funzionamento e le sue competenze. Il primo parlamento europeo, come detto, fu quello del 1979. Prima di questa data, gli eurodeputati erano delegati dai Parlamenti nazionali. «È la prima volta nella storia – dichiarò Simone Veil, prima Presidente dell’eurocamera – una storia in cui spesso siamo stati contrapposti e dediti alla distruzione reciproca, è la prima volta che i popoli europei hanno eletto insieme i loro delegati in un’assemblea comune che rappresenta più di 260 milioni di persone. Queste elezioni sono una pietra miliare del percorso dell’Europa». Scriveva nei suoi diari Altiero Spinelli, uno dei più nobili padri europei: «Una volta eletto, il Parlamento europeo non si è più sentito uguale a quello che lo aveva preceduto». Infatti, negli anni il Parlamento ha guadagnato sempre più centralità̀ nell’UE e oggi svolge principalmente tre funzioni: legislativa; di controllo sulle altre istituzioni; di bilancio. Senza addentrarci in tecnicismi, ricordo che la funzione legislativa del Parlamento è creativa e si traduce, il più delle volte, in codecisione. La Commissione europea, che potremmo definire l’esecutivo sovranazionale, elabora una proposta legislativa. E a quel punto i due rami legislativi, cioè il Parlamento e il Consiglio dell’Unione europea si rimbalzano il testo fino a quando non hanno trovato un accordo. A partire dal Trattato di Lisbona del 2009, il Parlamento europeo ha un ruolo paritario rispetto al Consiglio dell’Unione europea, e insieme ad esso decide sul bilancio annuale dell’UE. Il bilancio rientra nel Quadro finanziario pluriennale, che dura dai 5 ai 7 anni e su cui il Parlamento ha l’ultima parola.
Inoltre, è proprio il Parlamento, che uscirà dal nostro voto, a eleggere il/la presidente della Commissione e approvare la nomina di tutti i Commissari, che precedentemente ha ben bene audito. La Commissione, infatti, è responsabile davanti al Parlamento che ha, eventualmente, il potere di farla cadere.
Basterebbe questo per evidenziare la rilevanza dell’unica istituzione europea eletta direttamente dai cittadini, quella che appunto voteremo tra poco. Ma seguitemi ancora un poco.
Nel 1979 si recarono alle urne oltre l’85% degli italiani e il 62% degli europei. 40 anni dopo, l’affluenza italiana si è attestata sul 54% contro il 50% di media europea. Ora, se è vero che l’Italia continua ad avere un’affluenza più alta della media europea, il dato è comunque sensibilmente in calo, e il cosiddetto Partito dell’astensione rischia di avere la maggioranza. I numeri mostrano che i più giovani, gli under 35, sono più interessati alla politica europea di quanto non lo siano gli over 35. Ma c’è un ma. La demografia italiana è in profonda crisi: l’elettorato potenziale degli under 35 è di circa 10 milioni di persone, mentre quello degli over 50 è di circa 27 milioni di persone.
Non dimentichiamo poi che in questi anni si registra una avanzata delle destre estreme. In Francia, il partito antieuropeista di estrema destra Rassemblement National (che confluirà nel gruppo parlamentare di Identità e Democrazia), fondato da Jean-Marie Le Pen e poi guidato da sua figlia Marine Le Pen, e attualmente presieduto dal 28enne Jordan Bardella, veleggia stabilmente sul 30%. In Germania, l’AFD, partito così di estrema destra da essere stato cacciato dal gruppo di Identità e Democrazia, è secondo solo alla CDU (molto più di destra rispetto ai tempi di Angela Merkel), e si attesta attorno al 18%.
Oggi in tutta la Ue, su 359 milioni chiamati complessivamente alle urne, ci sono 23 milioni di giovani che voteranno per la prima volta, e saranno quasi 3 milioni quelli italiani. Se qualcuno di questi giovani mi chiedesse qualche altro motivo per andare a votare, ecco, queste sono le mie tre priorità:
- al 1987 l’Erasmus cioè il “Programma di azione della comunità europea per la mobilità degli studenti universitari” ha permesso a 15 milioni di ragazzi europei di frequentare gratis un’università straniera; dal 2014 il programma è stato esteso anche agli studenti delle scuole superiori. Tra il 2021 e il 2027 sono stati messi a disposizione 26 miliardi in borse di studio per 10 milioni di studenti
- Con il Green Deal, l’Europa si è preoccupata della salute del pianeta (e quindi del futuro dei giovani), imponendo la riduzione delle emissioni inquinanti. L’obiettivo Ue è di ridurre le emissioni di gas serra entro il 2030 almeno del 55% rispetto al 1990, per arrivare alla neutralità climatica entro il 2050. Lo strumento con cui sta finanziando con 1000 miliardi il costo della transizione ecologica si chiama «Next Generation Eu», la prossima generazione europea
- I diritti civili: l’11 aprile 2024 il voto del Parlamento europeo decide l’inserimento del diritto all’aborto nella Carta dei diritti fondamentali dell’UE. Con 336 voti a favore, 163 contrari e 39 astensioni, il Parlamento si è espresso per la modifica della Carta. Sarà ora necessaria l’approvazione da parte dei 27 stati membri. Tra i principali sostenitori della modifica della Carta dei diritti fondamentali figurano i partiti dei Socialisti e democratici, Verdi/Ale, Renew e la Sinistra, mentre il Partito popolare europeo si è diviso tra favorevoli e contrari. Il gruppo dei Conservatori e riformisti e Identità e democrazia, tra cui il partito Fratelli d’Italia, ha votato contro la mozione
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- Tutto è mondo e Tutto è Europa - 4 Giugno 2024