Roba da matti. Scrivere, leggere, dipingere, recitare. La vena creativa attinge dalla follia e questo mese ne parliamo su TuttoMondo. Ma il binario su cui ci muoviamo è doppio. Febbraio è un mese strano, breve, insidiato da marzo (che la cultura popolare ribattezzò “pazzo”) e allora abbiamo deciso di aggiungere un secondo tema: quello della brevità. Brevità e follia, dunque, vanno a braccetto negli articoli che stai per leggere. Follia intesa come distorsione, scissione; come sguardo alternativo, uscita dai canoni della comunicazione ordinaria. Pazzia non solo come malattia, ma come rivelazione di dimensioni profonde. Platone distingueva due tipi di pazzia: una buona, l’altra nociva. Qua a TuttoMondo ci piace pensare di appartenere alla prima categoria. Pazzi per la cultura, intesa come luogo di condivisione e approfondimento delle nostre passioni; pazzi per continuare a scrivere in un paese dove oltre la metà degli abitanti – gli italiani – non legge neppure un libro all’anno (dati Istat).
Pazzi perché a volte litighiamo, ma poi ci rendiamo conto che questa forma di follia è solo l’espressione dell’amore che proviamo verso ciò che facciamo. Pazzi perché è tutto volontariato; un gettare, forse, molte energie al vento (e il termine follia affonda l’etimo nella parola “aria”) sperando che qualcuno, altrettanto pazzo, saprà intercettare quello sforzo, unendo il suo tempo al nostro. Si scrive per incontrarsi… e talvolta per dividersi. Si scrive per essere letti, ottenere un posto nel mondo, essere riconosciuti. Si scrive per specchiarsi. Perché conoscersi e riconoscersi a vicenda (nel bene e nel male, anche nella separazione) è il presupposto di ogni integrità morale e psicologica: è ciò che rende possibile l’esistenza di un individuo. Dall’uno nasce il due. Ma è vero anche il contrario: che il singolo misura sé stesso sulla base dell’altro. Dal due nasce l’uno. Quando questo riconoscimento è possibile, allora l’individuo sa di esistere, è consapevole di avere un posto nell’ordine delle cose. Il matto – quello vero, malato, disperato – non è in grado di specchiarsi nel mondo, di collocarsi operando le dovute distinzioni e identificazioni. Leggere, recitare, ascoltare, sono elementi imprescindibili perché l’uomo possa chiamare se stesso io e possa comprendere, se è fortunato, che questo io è possibile solo in funzione del Tutto. Per questo, leggere, scrivere, dipingere, suonare, recitare – in un parola: la cultura – è il miglior modo per caricare di senso la propria solitudine, svelandone, di tanto in tanto, l’illusione.
Con il numero di questo mese si conclude la mia esperienza a TuttoMondo. Dopo più di un anno, le lezioni apprese sono molte e le devo in primo luogo ai redattori di questa piccola ma significativa realtà culturale: vi ringrazio di cuore per l’impegno e per avermi seguito nella non semplice impresa di raggiungere un compromesso fra una divulgazione accessibile a molti che non tradisse tuttavia la profondità e il grado di complessità necessari a veicolare un messaggio culturale. TuttoMondo, prima ancora che una rivista, è stato uno spazio di confronto e un luogo che mi ha concesso la possibilità di dare una forma a molti pensieri altrimenti destinati a rimanere orfani: il mio in bocca al lupo ai responsabili di ogni sezione e ai numerosi collaboratori che hanno reso possibile questa esperienza.
Filippo