Una grande lezione di cinema di Cronenberg

Lucca Film Festival – Mercoledì 18 Marzo & Sabato 21 Marzo. Premio alla carriera & Lezione di cinema di David Cronenberg via Skype

Mercoledì 18 Marzo 2015 e sabato 21 Marzo saranno due date che rimarranno impresse nella mente di qualsiasi amante del cineasta canadese David Cronenberg. Il 18 Marzo, infatti, al Cinema Centrale di Lucca, è stato consegnato a David Cronenberg – via Skype – il premio alla carriera, riconoscimento che lo scorso anno fu assegnato a David Lynch e John Boorman. Dopo la consegna del premio – una targa celebrativa ed un dipinto dell’artista lucchese Marco Saviozzi – sono seguite le domande poste da Claudio Bartolini.

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Claudio Bartolini: Mi aggancerei alle mostre Evolution, Chromosomes e Red Cars per chiederti come si possono e devono inserire nel tuo percorso filmografico queste tre splendide esposizioni?

David Cronenberg: Le mostre vanno di pari passo a tutte le altre forme artistiche praticate durante la mia carriera. Queste mostre sono nate da una collaborazione tra vari staff di persone e questo metodo collaborativo l’ho sempre attutato nella realizzazione dei miei film.

Claudio Bartolini: Visto e considerato che nella prima parte della tua carriera, nei tuoi primi film, si diceva che la parola, la video-parola si faceva carne, ora sembra che la carne si faccia parola, in particolare in A Dangerous Method, Cosmopolis e infine Maps To The Stars. Secondo questa linea interpretativa, che si pone in relazione con la contemporaneità e quindi con la dissoluzione e la perdita della materia e dei supporti materiali a beneficio di supporti sempre meno legati alla materia ma alla semplice parola, ti chiedo se sia possibile mettere in relazione Cosmopolis e Maps To The Stars sulla base di questo presupposto.

David Cronenberg: La parola non si può separare dalla carne. Sono due cose che sono sempre collegate, sempre connesse. Le parole sono carne, esse vengono dal corpo, dalle corde vocali e vengono pensate dal cervello. L’argomento dei miei film è stato sempre questo solo che adesso sto affrontando queste questioni da un altro punto di vista. È come guardare dentro ad un prisma.

Claudio Bartolini: In che modo Maps To The Stars si pone in relazione alla contemporaneità, al mondo in cui è inserito, al contesto e ai mutamenti del contesto?

David Cronenberg: Maps To The Stars si pone come una sorta di tragedia greca sulla condizione umana inserita nel contesto di Hollywood. Però non è necessariamente una critica ad Hollywood; è una discussione sui comportamenti estremi dell’uomo. Ho scelto Hollywood perché l’uomo, in quel contesto, è molto esposto al pubblico ed è molto visibile.

Salutando il pubblico con un arrivederci, ci troviamo a sabato, giorno dell’attesa lezione-intervista. Il Cinema Centrale di Lucca è colmo sia per la proiezione del film La promessa dell’assassino, introdotto dall’attrice Sinéad Cusack, sia per ripercorrere la carriera di Cronenberg attraverso le sue parole. Insieme a Nicola Borrelli, hanno interagito con il regista, Domenico De Gaetano e Claudio Bartolini. La lezione si apre con un Cronenberg che, ricevendo un omaggio pucciniano, ringrazia la città di Lucca per il fatto che il costume utilizzato per M.Butterfly sia esposto nel Puccini Museum, sperando un giorno di visitare questa splendida città. Dopo questo breve preambolo cominciano le domande.

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Claudio Bartolini: Durante la conferenza stampa di ieri, Jeremy Irons ha detto che secondo lui il tuo cinema è come uno scheletro al quale ogni film aggiunge qualcosa. Concordi con questa definizione che presuppone una forte continuità tra i tuoi singoli film?

David Cronenberg: Quando si tratta di mettere insieme una sceneggiatura e scrivere un film non si vive un evento singolo, ma è il fatto che tutti ci collaborano che porta a far vivere il film. Quindi Jeremy aveva perfettamente ragione quando ha detto che c’è uno scheletro iniziale su cui poi si continuano ad aggiungere via via informazioni, emozioni, sentimenti. Io non utilizzo uno storyboard, non ho niente predeterminato in partenza, mi affido al mio intuito e al mio istinto creativo; ma non solo al mio, visto che utilizzo gli input che mi danno gli attori, i costumisti, i truccatori. Voi dovete pensare al film come una scultura, dal cui blocco di marmo ci togliamo parti ed alla fine emerge la forma finale.

Claudio Bartolini: Tra gli elementi comuni a quasi tutti i tuoi film c’è la figura del virus che contagia un soggetto apparentemente sano e lo piega e trasforma secondo la sua volontà. Quanto è importante l’elemento virale nelle storie che racconti?

David Cronenberg: Io non penso al cinema, come fanno i critici, per grandi filoni tematici. Sono i critici che cercano un filo rosso che ci conduca; creativamente questo per me non funziona, io non opero in questa maniera. Io adoro la scienza, però i virus non sono forme di vita se ci pensiamo, loro non sono vivi, non hanno amore, non hanno passione, non hanno vita, sono cose meccaniche; invece quello che a me affascina è la comunicazione tra le persone, come vengono comunicati i pensieri. Quindi, se ci pensate, è l’opposto: il virus è meccanico e chimico, invece io punto all’essenza di come noi riusciamo a plasmare e formare le nostre emozioni e pensieri. Tant’è vero che si parla ora di comunicazione virale.

Claudio Bartolini: Si parla sempre troppo poco di quanto David Cronenberg sia un grande direttore di attori che con lui spesso recitano il loro ruolo migliore di tutta la carriera, pensiamo ad esempio a Jeff Goldblum in La mosca. Come scegli i tuoi protagonisti e come imposti il lavoro con l’attore sul personaggio?

IMG_20150324_152803David Cronenberg: Penso che l’arte del casting sia in verità un’arte magica, quasi un’arte nera di cui parliamo pochissimo.

È incredibilmente importante scegliere l’attore giusto per il film. Uno può distruggere un film semplicemente avendo scelto l’attore sbagliato. Oltre ad individuare la persona, gli altri pezzi del puzzle sono molteplici: per esempio devi scegliere l’attore prendendo in considerazione il budget che hai, devi scegliere l’attore o l’attrice prendendo in considerazione il loro passato, i ruoli che hanno già coperto, la loro nazionalità, per esempio se io dirigo una coproduzione canado-francofona io posso avere solo un attore americano. Questa è una cosa che il pubblico non sa ne necessariamente dovrebbe sapere, ma in generale ci sono moltissimi vincoli nello scegliere chi poi tu chiami a recitare la parte. Quindi pensate ad un puzzle estremamente complesso e tutto questo avviene prima del primo incontro con l’attore. Tuttavia se tu scegli la persona giusta, se scegli l’attore giusto non hai bisogno di dirigerlo. Ralph Fiennes, che ho diretto in Spider, mi ha fatto un grandissimo complimento e mi ha detto che ero stato il regista che lo aveva diretto meno in assoluto di tutta la sua carriera. Il lavoro è durissimo nel scegliere la persona giusta, con lui abbiamo scelto tutto insieme, a partire dal guardaroba; e quando è arrivato sul set per interpretare Spider lui era già Spider. Io, per rispetto al grandissimo lavoro degli attori, ritengo che gli vada data libertà e strumenti per potersi espandere ed identificarsi nel ruolo.

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Domenico De Gaetano: Com’è nata ed evoluta la collaborazione con il compositore Howard Shore, ormai collaboratore fisso di Cronenberg da 35 anni?

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David Cronenberg: Quasi tutta la musica dei miei film, forse con l’eccezione di uno, è stata composta da Howard Shore. La mia amicizia con lui risale a quando eravamo ragazzi a Toronto, prima ancora che entrambi iniziassimo a far parte del mondo del cinema. La musica è interessante perché da un lato è una funzione matematica, qualcosa di estremamente tecnico, dall’altra è completamente atmosferica, è un richiamo emotivo. È molto difficile parlare con il tuo compositore e intavolare un certo tipo di rapporto perché in verità la musica e le parole sono nemiche, nel senso che la musica bisogna sentirla, non parlarne. Con Howard sono riuscito negli anni a costruire questo genere di rapporto. Infatti Howard fa parte di quella cerchia ristrettissima di persone a cui io invio una sceneggiatura appena ce l’ho pronta: c’è Sanders, c’è Spier, c’è Suschitzky e poi c’è lui, il mio compositore, quindi cerco immediatamente il suo feedback, anche se non penso necessariamente a lui come compositore di tutti i miei film. Ma se ho bisogno di qualcosa di straordinario, di qualcosa che vada al di fuori degli schemi, lui è la prima persona a cui mi rivolgo e lui viene anche sui set, viene a vedere le riprese e a comprendere la storia, e guardando il film che viene fatto mi sottopone delle bozze iniziali, oggigiorno in formato MP3, prima invece erano in musicassetta, ed una delle emozioni più forti che ho provato è stato l’ascolto delle musiche provvisorie di Inseparabili, create al sintetizzatore, mentre guidavo la mia Lancia Beta. Misi la cassetta nel mangianastri mentre guidavo e fu un emozione assolutamente incredibile. Lavorare con Howard è meraviglioso perché lui non ha ego. Se c’è qualcosa che non funziona, che non mi convince ne possiamo parlare e modificare insieme e lui è sempre aperto a cercare insieme una soluzione e questo è possibile perché la nostra collaborazione risale alla nostra infanzia.

Claudio Bartolini: Qual è il metodo di lavoro che imposti con i tuoi stretti collaboratori, la “Cronenberg’s Factory”, e in che momento loro entrano nella lavorazione del film e se questo rapporto nel corso del tempo si è evoluto in base ad una fiducia che si è creata col passare degli anni?

IMG_20150324_152938David Cronenberg: Fin dall’inizio della mia carriera mi resi conto che avevo una sensibilità molto europea nel modo in cui approcciavo le cose. Ho preso a modello Bergman e Fellini, i quali avevano un team ed una squadra con cui lavoravano e questo mi è sempre piaciuto moltissimo perché era diverso dallo standard hollywoodiano di prendere quello che era il più in voga del momento o il nome di richiamo. Quindi ho deciso di intraprendere anche io questa metodologia, creando una famiglia. Lavorare ad un film è un processo estremamente complesso, è un lavoro che pone mille tranelli ed è pieno di chiari e scuri, ed è incredibilmente emotivo. Se tu tutti i giorni vai a lavorare con persone che ami, con cui stai bene e rispetti, è una sensazione meravigliosa e chiaramente la speranza è di continuare a crescere ed evolvere insieme. Poi capita che ci siano eventi che prendono strade diverse, ma anche questo va bene. Queste persone che ti circondano incoraggiano la tua creatività, prendono energia dalle tue emozioni, non c’è ostilità sul set, non c’è acrimonia, non ci sono tensioni. Quando tu sei in questa situazione si ottiene una grande libertà creativa. Queste persone sono come i compagni d’armi sul set perchè quando puoi trovarti sotto assedio per motivi esterni loro fanno quadrato, facendoti andare avanti in modo efficace, e tramite questa efficacia logistica e creativa ci possiamo permettere di ridurre i tempi di produzione e diminuire il budget, e questo libera risorse per fare dei progetti che mi interessano. La libertà creativa è dunque data anche dall’avere un team vincente: tanto più hai questa libertà, tanto più ti senti tutelato dalla tua famiglia, tanto più radicale puoi ideare il film.

Domanda pubblico1: Si dice spesso che nei film di Cronenberg ci sia parecchia violenza, e quello è vero. Però, ora che abbiamo visto La promessa dell’assassino secondo me traspare parecchia più speranza e amore alla fine di tutta la violenza di cui si parla. E questo secondo me non viene sottolineato da nessuno. Volevo sapere cosa ne pensa il regista di questo dualismo.

David Cronenberg: George Bernard Shaw ha detto che il conflitto è l’essenza del dramma. Io non intendo solo la violenza fisica, c’è la violenza psicologica, c’è la violenza politica, c’è violenza di ogni genere, esiste dai tempi di Adamo ed Eva e ci sarà sempre. Chiaramente nel cinema la violenza è il modo più comune in cui rappresentare questa forma di conflitto. Io sono un pacifista convinto però non ho mai evitato di parlare di violenza, non mi sono mai nascosto dietro ad un dito, guardate le notizie tutti i giorni… Siamo bombardati e circondati. In verità se guardate i miei film più recenti tipo Maps To The Stars, c’è solo una scena di violenza fisica in tutto il film, ma non è quella la scena più violenta; la scena più violenta è emotiva ed è quando uno dei personaggi sta cantando una canzone. Dipingere la violenza e mostrare la violenza non significa negare la speranza, dobbiamo esaminare ogni aspetto della condizione umana e io non ritengo che la violenza annulli l’intelligenza, è semplicemente l’altra faccia della medaglia.

Domanda pubblico2: Cosmopolis rappresenta fin troppo bene il momento della crisi che viviamo tutt’ora. Volevo sapere da lui in che misura è riuscito a rappresentare la crisi a partire dalla figura del brooker di Wall Street rinchiuso nella limousine che non riesce a rendersi conto di ciò che avviene fuori da essa.

deDavid Cronenberg: Cosmopolis è basato su un libro scritto da Don DeLillo, quindi diamo a Cesare ciò che è di Cesare. Sicuramente lui è stato in grado di anticipare tutto quello che è stato il movimento di Occupy Wall Street ed è riuscito a capire quelli che erano limiti del capitalismo. Secondo me il capitalismo, nella forma conosciuta ad oggi, è deragliato non solo negli Stati Uniti ma in tutto il mondo. Infatti Cosmopolis e Maps To The Stars impostano delle critiche sul sistema capitalista in cui siamo vissuti sino ad ora. Ciò non vuol dire che tutto il capitalismo sia da buttare, però il capitalismo ha in sé un germe distruttivo potenziale, ha dei pericoli insiti per sua natura e quindi c’è bisogno di una supervisione e non di un capitalismo selvaggio come quello degli USA. In Canada, infatti, le banche non hanno avuto problemi con la crisi economica perché c’era un forte controllo governativo e si è riuscito a bilanciare l’imprenditorialità con i limiti posti dallo stato. Io non credo nel mercato libero, non ritengo che gli esseri umani siano in grado di limitare la loro ingordigia, e per questo ci vuole un sistema che ci tuteli da noi stessi. Oltretutto il fatto è che il denaro non esiste in natura, lo abbiamo creato noi e ci è sfuggito di mano, ha preso una vita e cammina con le proprie gambe. Concludo dicendo che Karl Marx proprio tutti i torti non li aveva, e che magari le soluzioni da trovare potrebbero essere diverse, ma siccome credo che ci siano molti comunisti in sala non voglio offendere nessuno.

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Tomas Ticciati
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