“L’arte è l’unica attività umana che ha il senso che gli diamo, e più ci avviciniamo a definirlo, più sparisce. L’arte contemporanea è un buon indicatore della salute della nostra società.”[1]
Queste le parole di Thomas Amerlynck, artista belga, scopertosi insegnante, e, non meno importante, uomo fedele al suo tempo. Con un accento coinvolgente, misto di francese e toscano, mi ha raccontato la sua mostra alla Villa Trossi Uberti, la coraggiosa realtà livornese che ha fatto della didattica artistica il suo punto di forza, aumentandone il valore applicando l’antico esempio dell’imparare dai grandi maestri. Di anno in anno l’attenzione delle mostre è posta su artisti importanti del panorama contemporaneo, ma, mai come quest’anno il legame tra l’autore e la Fondazione è stato così profondo; Thomas Amerlynck si scopre insegnante proprio tra le mura di questa scuola d’arte, quando, nel 2011 viene scelto come professore per il corso annuale di incisione calcografica.
“Vi fu subito un forte legame”, mi confessa l’autore, “con la città e la sua scuola d’arte: non si trattò solo di trovare persone che credettero in me dandomi questa bellissima opportunità, ma di scoprire e stimolare i miei limiti per superarli e trovare un modo per trasmettere il mio sapere”. Sapere che, a ben dire, ancora oggi lascia il suo segno, poiché avviò un processo di studio sulle pose brevi che ancora oggi appartiene all’offerta formativa della scuola, ampliandone il repertorio.
Sulle rigorose pareti bianche, queste opere spiccano con i loro sfondi neri ed il loro tratto deciso: la graficità del segno grafico sembra dialogare con l’ambiente marmoreo o con quello granitico; si vedono così opere di altri tempi che si “guardano” da lontano, come le testine antropomorfe del camino e la stampa “A Dieux”, che, con il suo sfondo nero, riflette tutti quelli a cui dice addio. Un gioco di sguardi quindi, che si dibatte tra immagini palesi e non, immediate o confuse. E’ questo d’altronde uno degli obiettivi dell’artista che ha un forte interesse per le pratiche sociali e culturali del suo tempo: un’arte apolitica ma chiara, non di denuncia ma di dimostrazione, perchè ciò che non viene da subito compreso è di stimolo, è un dubbio che avvia un legame personale tra l’opera e lo spettatore, una filiera che la rende viva.
Una mostra tutta da scoprire quindi, con l’augurio di essere accompagnati da una curiosità analitica, proprio come quella che richiede la tecnica da cui sono create le opere, nella speranza che l’acido corroda anche le superfici dei pregiudizi più tenaci trasformandoli in nuove visioni.
[1] Nota dall’intervista “L’acido di Amerlynck” di Alice Barontini, ottobre 2015.
Chiara Lo Re
- Si Selfie chi può! - 15 Luglio 2016
- L’universo esistenziale nella fotografia di Francesca Woodman - 15 Luglio 2016
- Lu.C.C.A Tuesday Nights - 12 Luglio 2016