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Tutti noi abbiamo nella nostra vita certi ricordi a cui siamo inspiegabilmente affezionati. Non sai perché ce li hai, sono solo momenti caldi, senza particolare significato. Ho notato che molti dei miei sono legati al cinema. (Woody Allen)
L’influenza della cultura europea, letteraria e cinematografica, è uno dei tratti che più emergono dall’opera di Woody Allen, regista ironico e romantico, continuamente alla ricerca di un confronto con i grandi temi della storia dell’umanità.
Woody Allen, nome d’arte di Allan Stewart Konigsberg, nasce a New York nel 1935. Conosciuto in tutto il mondo come uno dei più grandi registi contemporanei, famoso per la sua ironia e per la grande capacità narrativa, all’età di 81 anni continua a scrivere sceneggiature e a girare in media un film all’anno. La sua infanzia è fatta di grandi amori che lo accompagneranno per tutta la vita: il cinema, la magia e la città di New York; tre mondi densi di fascino e meraviglia che caratterizzeranno la sua sensibilità di regista e il suo sguardo sulla realtà. La visione di grandi film nei cinema di Brooklyn, l’attrazione verso i trucchi magici e il fascino di Manhattan, luogo mitico oltre il ponte, raccontano il desiderio e la possibilità di evadere dalla realtà per immergersi in un mondo altro, fatto di sogni e illusioni.
È questo il tema de La rosa purpurea del Cairo, film a cui Woody Allen dichiara di essere più affezionato, la cui protagonista è una donna infelice che continua ad andare al cinema per vedere sempre lo stesso film e riuscire così a fuggire da una vita infelice. Durante una proiezione, uno degli attori che sta recitando sullo schermo si accorge di lei e decide di “scendere” dallo schermo e vivere la vita vera. Un film che parla del potere illusorio del cinema e in cui Allen ritrova quella parte di sé legata all’infanzia, all’amore per i grandi film che lo hanno ispirato nella sua carriera di regista. Primi tra tutti sono i film dei fratelli Marx e di Bergman, due influenze estremamente contraddittorie tra loro, così come lo sono le due anime che vivono in ogni film di Allen: un’anima comica, alla ricerca della leggerezza e dell’ironia, e un’anima tragica e malinconica, rivolta ai grandi temi filosofici ed esistenziali della morte, del desiderio, dell’incapacità di comprendere il senso ultimo delle cose.
La produzione iniziale di Allen risente molto del suo lavoro di comico, dell’influenza di Bob Hope, grande attore degli anni Venti e Trenta, e del cinema di Chaplin e Keaton. Film come Il dittatore dello stato libero di Bananas, Prendi i soldi e scappa e Il dormiglione sono vicini al genere slapstick, gag semplici ed efficaci basate sulla fisicità e su una comicità immediata. L’influenza di Bergman e della letteratura russa di Tolstoj e Dostoevskij, fatta di temi tragici e profondi, è evidente nella produzione che va da Amore e Guerra fino ai suoi ultimi film, come nel caso di Match Point. La scelta di confrontarsi con temi impegnativi è indice di un progressivo interesse nel raccontare la profondità delle cose, della vita quotidiana e sentimentale. In Amore e Guerra l’influenza di Bergman è evidente tanto quanto è alleggerita con la comicità e con l’ironia tipica di Allen, ma nei film successivi il tentativo di affrontare la tragicità della vita sarà sempre più esplicito.
Interiors, Stardust Memories, Un’altra donna, Settembre, sono film che pescano dall’immaginario bergmaniano e felliniano raccontando silenzi, vuoti, personalità eccentriche e devastate dalla consapevolezza della fine delle cose e dell’incapacità di vivere la pienezza della vita. La sensibilità di Woody Allen si manifesta nell’attenta analisi psicologica con cui realizza personaggi in profonda crisi interiore; primo tra tutti è proprio il suo personaggio, che vaga da uno psicanalista all’altro sistematicamente incapace di stabilire relazioni sentimentali stabili. Con Interiors il dramma della protagonista si consuma nell’ossessività di arredare una casa vuota e asettica, spostando e ripensando continuamente la posizione ideale di oggetti privi di vita, misurando millimetricamente una perfezione irraggiungibile.
Stardust memories, di forte ispirazione felliniana, è il ritratto di un regista in crisi perché nessuno apprezza i suoi film drammatici che cercano di rappresentare la sofferenza umana e reale: il pubblico continua a preferire la sua comicità e lo ammira, lo idolatra per il suo successo, creando una frattura netta e irreparabile tra realtà e finzione. I volti e le personalità che caratterizzano il film sono tratte dall’immaginario dei film di Fellini, volti eccentrici, anomali e grotteschi che sono parte di un grande affresco surreale e poetico. Manhattan è invece una dichiarazione d’amore alla sua città, una città in bianco e nero il cui ritmo è raccontato dalle musiche di Gershwin; il protagonista è uno scrittore in crisi con due matrimoni falliti alle spalle e una relazione con una ragazza di diciassette anni. Espressione di grande romanticismo e tenerezza, Manhattan racconta l’infelicità e la difficoltà dei rapporti umani, della creatività, della mancanza di certezze, compensandola con grande ironia. In quasi tutta la sua filmografia è possibile ritrovare la traccia di queste due anime che scorrono in parallelo, salvo alcune eccezioni. Secondo Woody Allen la scrittura tragica ha la bellezza di affrontare direttamente la realtà e la rappresentazione della vita, del dolore, della morte, senza mai alleggerirla con gag all’ultimo momento o con temi comici. Ed è questo il motivo della sua grande insoddisfazione legata alla maggior parte dei suoi film: la consapevolezza dell’impossibilità per lui di raggiungere le vette di Bergman, di Fellini, di tutto il grande cinema europeo, impossibilitato a tradire la sua natura ironica.
Woody Allen è un regista la cui personalità, dissacratoria e tenera allo stesso tempo, dimostra una sapiente versatilità nella scelta dei temi e delle storie che racconta. La sua produzione spazia dalla comicità alla tragicità, ma anche da ambientazioni tratte da epoche diverse, gli anni Venti di Parigi, la modernità, una pseudo-fantascienza, l’alta società britannica, omicidi e celebrità, raccontando mondi e personaggi tra i più svariati. Ed è questa un’altra delle contraddizioni che distinguono la personalità di Allen, intellettualmente stravagante e allo stesso tempo fortemente abitudinaria. Il suo stile di vita si basa su una routine quotidiana fatta di vecchi affetti: lavora ogni giorno con una macchina da scrivere che ha da più di sessant’anni, con la quale ha scritto ogni film o articolo per il New Yorker, l’inconfondibile montatura nera degli occhiali, l’abitudine pluridecennale di suonare tutte le settimane al Café Carlyle di Manhattan; il cast tecnico dei suoi film è composto dalle stesse persone da anni, presentate con il font Windsor con cui scrive i titoli di testa con sottofondo jazz. È insomma una fonte inesauribile di idee, che butta giù continuamente su pezzi di carta tenuti insieme da scotch e punti di spillatrice, che ha bisogno della stabilità per evaderla continuamente; una vita dedicata ai suoi amori culturali, all’immaginazione, a ciò per cui vale la pena vivere.
Erica Barbaro
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